ANTONIO CARIOTI – CORRIERE DELLA SERA.
Leader della corrente intellettuale nota in Francia come «Nuova destra», lontanissimo dal lepenismo come dal conservatorismo moderato, Alain de Benoist è uomo di idee non banali. Il suo diario di fine secolo, tradotto in Italia con il titolo Ultimo anno (Edizioni Settecolori), è una lettura gradevole e stimolante, che intreccia aforismi, giudizi sull’attualità, riflessioni autobiografiche.
Resta però anche qui la netta ripulsa del sistema occidentale, descritto come un «totalitarismo dolce», che approfitta del «modo in cui l’uomo sa accettare l’asservimento» e «gli fa credere di essere completamente libero, mentre non è mai stato così alienato». Addirittura de Benoist bolla il liberalismo come un’ideologia che «riporta l’uomo alla condizione bestiale», poiché gli lascia perseguire i suoi interessi, come fanno appunto gli animali, e gli impone solo «di non recare danno agli altri, ma non obbliga nessuno alla solidarietà». Per quanto altrove l’autore dichiari di apprezzare nel liberalismo «la critica dello statalismo e l’appello alla responsabilità dell’individuo», si ha la nitida impressione che il tratto dominante del suo pensiero sia proprio una profonda sfiducia nella persona umana e nella sua capacità di autodeterminarsi. Il singolo è visto come un soggetto malleabile, in balia del consumismo, pronto a barattare la sua libertà per un piatto di lenticchie, preda di istinti egoistici che vanno corretti «obbligandolo alla solidarietà». In fondo de Benoist ripropone il primato delle istanze collettive sui diritti individuali. Tesi antica e dall’inconfondibile sapore autoritario.
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