MARIO CERVI – IL GIORNALE.

«Imperi II», gli spietati ritratti delle due superpotenze in un saggio di Pasolini Zanelli.

Questo Imperi II di Alberto Pasolini Zanelli (Edizioni Settecolori) si occupa della Russia e della Cina: e fa seguito ad un primo Imperi che si occupava prevalentemente di Germania e Giappone. Ma in entrambi i volumi l’’indiscussa protagonista è l’’unica superpotenza rimasta dopo il collasso e la frantumazione dell’Unione Sovietica: gli Stati Uniti d’America. I nostri lettori sanno che Pasolini Zanelli risiede professionalmente a Washington da molto tempo: e invia al Giornale corrispondenze che anche quando trattano temi d’’effimera cronaca acquistano il peso e l’’autorevolezza del saggio. In questo Pasolini Zanelli è unico. Radicato in America, ha saputo sfuggire alle opposte insidie cui sono soggetti negli Usa i giornalisti italiani. La prima è un’’incondizionata ammirazione per tutto ciò che è americano, politica, azioni militari, cultura, costume. La seconda è quella d’’una acritica avversione per tutto ciò che è americano, magari contrabbandata come ostilità non agli Usa ma alla gestione presidenziale di George W. Bush.
Colto, penetrante – e perciò distaccato nelle sue valutazioni – Pasolini Zanelli giudica senza passionalità. Sa che negli ultimi decenni l’’umanità s’è trovata di fronte a una situazione mai più verificatasi, nel mondo conosciuto, dopo l’’apogeo di Roma antica. La situazione, cioè, in cui un Impero egemone assumeva come sua missione il guidare il mondo. Virgilianamente parcere subiectis et debellare superbos, essere longanime con chi si arrende e implacabile con chi si oppone. Dopo la strage dell’’11 settembre 2001 Bush poté imporre una dottrina che «cancella l’’intangibilità della sovranità nazionale e stabilisce che gli Stati Uniti hanno il potere di sospenderla, quando si tratti di Paesi reputati pericolosi per la propria sicurezza». Questa impostazione non delizia l’’autore di Imperi, che tuttavia ne chiarisce con efficacia impareggiabile le motivazioni.
Sempre tenendo conto di questincombente e a volte opprimente presenza americana, Pasolini Zanelli ha dunque percorso gli itinerari di due universi d’’immane complessità, appunto il russo e il cinese. Le analisi e i ritratti sono freddi e se occorre spietati. Rievocando la rivoluzione culturale di Mao, alle cui efferatezze s’’inchinavano gli intellettuali italiani – solo adesso Dario Fo comincia ad avere qualche dubbio – Pasolini Zanelli annota: «Liu Shaoqi, presidente della repubblica, contestatore del grande balzo in avanti, torturato per due anni, deportato nel timore che i sovietici venissero a liberarlo, morto sul pavimento di una cella. Peng Hui, eroe della guerra civile,… morto dopo centotrenta sessioni di tortura. He Long, veterano della Lunga Marcia, massacrato da un gruppo di adolescenti su una pubblica piazza fra gli applausi degli spettatori, tutti alti dirigenti del Pcc. Cui vanno aggiunti alcuni milioni di loro compatrioti meno illustri».
Gli orrori di Mao vengono lasciati alle spalle, la Cina imbocca la strada dello sviluppo economico, ma il massacro di piazza Tien An Men attesta che alla corsa verso la prosperità non s’accompagnerà il cammino verso la libertà. Poiché tutto si lega, l’’esperienza della Tien An Men fa maturare in Gorbaciov la decisione di rinunciare alla repressione in Russia e in Europa. «L’’ultimo erede dinastico di Lenin e di Stalin abiura alla violenza di Stato come strumento di regno per farsi profeta disarmato, e apre così la via alla pacifica rivoluzione che lo travolgerà. Cinque mesi dopo Tien An Men crolla il muro di Berlino seguito dall’’Impero sovietico, da tutte le dittature satelliti, e infine dalla stessa Urss. L’’alba della libertà spunta nell’’Europa orientale, compresa la Russia. La sommossa liberale di Tien An Men ha fallito a Pechino, ha trionfato a Mosca».
Il boom cinese-affiancato a un boom indiano – e le ritornanti ambizioni della Russia di Putin, stanno attenuando l’’unilateralità statunitense, con la rivendicazione della guerra preventiva come diritto in esclusiva. La stanno attenuando pur senza averla ancora annullata. «Un tipo inedito di disgelo minaccia stavolta quello che da tre lustri è il più solido fondamento della stabilità mondiale: i buoni rapporti tra Mosca e Washington». Forse la storia si ripete dopo due millenni, e dall’unica superpotenza si sta passando a un più consueto equilibrio di potenze. Se sia meglio o peggio non so.